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“TI DEDICO UN RICORDO”, LISA PINTO: RACCONTO VINCITORE DEL CONTEST DEDICATO ALL’ALZHEIMER

Il racconto di Lisa Pinto, vincitore del concorso #TiDedicoUnRicordo

Dalla tapparella penetra un sottile raggio di luce che mi colpisce il viso obbligandomi ad aprire gli occhi.

È una delle prime giornate di primavera, le gemme spuntano sugli alberi sempre più numerose, gli uccellini cinguettano allegramente e anch’io mi sento rinascere.

Controllo l’ora: devo prepararmi per andare a lavoro. Sistemo casa, facendo piano per non svegliare mamma e papà, che dormono nella sala attigua, e infilo il tubino blu a pois bianchi al quale abbino la cintura laccata rossa, i grandi orecchini circolari e le ballerine in tinta. Sistemo il caschetto disordinato di capelli mori spazzolando le punte con cura verso l’esterno e infilando il cerchietto a fascia ovviamente in tono con gli accessori estremamente in voga in questo periodo.

Esco di casa agguantando al volo la borsetta lavorata all’uncinetto che mi ha regalato l’anno scorso la nonna per il mio ventesimo compleanno.

‒ Ciao Gilda! Pronta per il caffé? ‒ mi saluta gioiosa Amalia, elegante come al solito nei pantaloni a taglio dritto arancioni accostati ad una camicia giallo limone ed un gilet in lana soffice verde smeraldo. I capelli sono raccolti in una voluminosa crocchia sulla nuca abbellita da un foulard arancione annodato intorno a formare un morbido fiocco laterale.

Ci incamminiamo verso il bar. Mi trovo bene con lei: siamo coetanee e condividiamo la passione per l’uncinetto. Arrivate al locale ci sediamo al solito posto vicino alla finestra e ordiniamo un caffè. Proprio non mi spiego perché ogni giorno cambi il personale in questa attività, ma importa solo che il caffè sia buono. Al tavolino vicino siede un giovane mai visto prima che ci chiede un’informazione sul posto. Rispondiamo cordialmente e il discorso procede.

‒ Quanti anni avete? ‒ indaga.

‒ Ottanta entrambe. ‒ rispondo.

‒ Non li dimostrate. Che lavoro fate? ‒ ci osserva sorridendo.

Il continuo brusio di sottofondo mi distrae e temporeggio nel rispondere.

‒ Sono appena stata assunta come insegnante in una scuola prestigiosa. ‒ replica Amalia raggiante.

‒ Io lavoro come bambinaia da qualche anno. Amo occuparmi dei più piccoli. ‒ punto istintivamente lo sguardo sull’orologio da polso e noto di essere in ritardo.

‒ Da come ne parli, sembri essere appassionata al suo lavoro. Hai dei figli? O vivi da sola? ‒
‒ Ho un figlio e tre nipotini. ‒ frugo nel portafoglio per pagare visto che inizia a farsi tardi ‒ Abito con i miei genitori, sono molto giovani: hanno entrambi quarant’anni. Ora mi scuso, ma devo proprio andare altrimenti non sarò puntuale a lavoro. ‒ rispondo frettolosa lasciando un paio di monete sul bancone alle mie spalle.

Usciamo dal bar e saluto Amalia dandole appuntamento per il giorno successivo.

Cammino rapidamente fino alla stazione del treno. La biglietteria è una struttura in legno con il bancone ordinato e lucido e una pensilina dalla quale pende l’insegna colorata. Mi avvicino e chiedo un biglietto per il solito tragitto di ogni giorno. Quando il treno arriva, mi accomodo al mio posto preferito, lo stesso da sempre. Attendo gli usuali dieci minuti tra una chiacchiera con i vicini di posto e una controllata all’orologio.

Giunta in stazione, scendo agilmente e mi incammino fino alla casa dove lavoro come tutrice. Una giovane mi attende nella grande sala con il “neonato” avvolto in una calda coperta. Riferisce che è necessario che lo porti dal pediatra dato che -nuovamente- ha avuto problemi durante la notte. Lo prendo tra le braccia: è tranquillo e silenzioso e, in pochi minuti, mi trovo nella clinica medica. Entrando nella sala, un dottore mi accoglie sorridendo e gli spiego la situazione. Poco dopo l’inizio della visita, squilla un telefono. Il giovane si scusa e alza la cornetta.

‒ Ciao papà. Come stai? Sono al centro…sì, ho visto la nonna. La trovo serena e felice nonostante la malattia. Oggi ho fatto colazione con lei e la sua amica al bar della mensa e poi l’ho vista partire con il nostro “treno” per lavoro, come ogni giorno. È stato di nuovo come incontrarsi per la prima volta…Sì, dopo la accompagno io in camera. Perdonami, ma ti devo lasciare che sono con un “piccolo paziente”…certo, a dopo. ‒ interrompe la telefonata, scusandosi nuovamente con me. Lo osservo attentamente e mi sembra un volto noto, ma proprio non ricordo chi sia. Chissà, sarà solo una mia impressione.

Alla fine della visita il giovane ha appena concluso il suo turno e mi propone di accompagnarmi a casa. Accetto perché è gentile e di buone maniere e la compagnia fa sempre piacere. Così ritorniamo insieme in treno; mi preoccupo di cosa penseranno i vicini, mamma e papà nel vedermi rincasare con uno sconosciuto, decido però di non dare troppo peso ai pensieri.

Giunti alla porta di casa, il medico mi prende delicatamente la mano rugosa, mi guarda negli occhi sorridendo e mi saluta ‒ Siamo arrivati alla tua stanza. Ciao nonna. ‒

Ho proprio un caro nipote.